La speculazione minaccia i ruderi storici dell’Aquila
di Luca Del Fratutti (Unità online)
Non riesce a darsi pace. Armando Carideo guarda le foto del somiere dell’organo storico di Santa Maria di Collemaggio de L’Aquila ed è incredulo: «Si è imbarcato - spiega -, e così piegato non serve a niente, al massimo potranno metterlo in un museo». Il somiere è il cuore di uno strumento musicale antico e nobile come l’organo. «È rimasto sepolto per mesi sotto le macerie, spuntava dai calcinacci ma nessuno se n’era accorto. Appena mi hanno fatto entrare nella basilica l’ho subito riconosciuto, e in pochi giorni lo hanno tirato fuori». Ma oramai era agosto: «Non è possibile sapere in che condizione fosse ad aprile dopo il crollo, ma certo questo tipo di danni più che dall’urto sono dovuti all’abbandono e alle intemperie, pioggia, sole, umido, caldo... ». Dal 1990 Carideo ha diretto un progetto per il recupero degli organi storici abruzzesi, un ricchissimo patrimonio accumulato attraverso i secoli. Durato oltre15anni è statoun lavoro all’avanguardia per metodologie, precisione e risultati, preso a esempio da paesi come la Germania e gli Stati Uniti. Subito dopo il sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile, Carideo si è offerto volontario per salvare quegli organi, che conosce uno a uno come fossero vecchi amici: ha scritto al Ministero, al commissario straordinario Bertolaso, alle sovrintendenze. Non gli hanno neppure risposto. E lui non riesce a darsi pace, mentre unpatrimonio organario tra i più ricchi d’Italia giace nell’incuria o rischia di essere danneggiato per sempre da interventi di mani inesperte. Come per gli organi, lo stesso vale per tutto il patrimonio artistico aquilano: i palazzi storici giacciono lì e in otto mesi non si è riusciti neppure a puntellarli tutti. Una situazione paradossale, ma sempre quando s’incrociano disorganizzazione, incuria, dilettantismo, sullo sfondo si profila l’ombra di una speculazione.
SOLO MANCANZA DI FONDI?
«Se arriva la neve li squaglia quei palazzi» si è lasciato sfuggire il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente parlando del centro storico. E ha ragione: di fronte ai ritardi dal ministero dei Beni Culturali alzano le mani. Tutto dipende dal super commissario Bertolaso e dal suo vice Luciano Marchetti che si occupa dei beni culturali e che lamenta l’assenza di fondi e dice «devo lavorare a credito... ». Al contrario delle tante promesse, il governo di soldi ne ha stanziati pochini per la messa in sicurezza dei beni culturali: appena 20 milioni, ancora non a disposizione, ma che dovrebbero, forse, arrivare fino a 50. Non a caso sette ex ministri della Cultura - Buttiglione, Fisichella, Melandri, Paolucci, Ronchey, Urbani, Veltroni - hanno proposto al governo di istituire una tassa di scopo per la salvaguardia e il restauro dei beni abruzzesi. Resta però inspiegabile come mai una parte del patrimonio mobile - quadri, sculture, mobilio e via dicendo - sia ancora all’interno di edifici inagibili, alcuni non puntellati. La mancanza di fondi rischia di diventare una mezza verità, che nasconde unamezza bugia: «Il problema è completamente diverso – spiega Giuseppe Basile, storico dell’arte dell’Istituto nazionale del restauro oggi in pensione e tra i protagonisti del salvataggio e del restauro della Basilica di SanFrancesco ad Assisi, durato appena due anni - dopo il terremoto dell’Umbria e delle Marche, la competenza sui beni culturali delle zone colpite dal sisma venne affidata a Mario Serio, che era il direttore generale del ministero che si occupava di quei beni anche nella normalità. Per lui fu facile e immediato intervenire: sapeva chi chiamare, dove e come mandarlo. Oggi invece è tutto sotto gli auspici della protezione civile, che si comporta in modo militare e fa lavorare, anche come volontari, solo suoi affiliati o quelli di associazioni da lei riconosciute, come Legambiente e le Misericordie. Mi sono offerto come volontario, ho detto che mi sarei pagato l’assicurazione sulla vita per non essere di peso, ma alla fine ho capito che comunque non mi avrebbero chiamato».
LA DENUNCIA
I restauratori sono in agitazione a livello nazionale: per il terremoto dell’Umbria e delle Marche vennero mobilitati i migliori, stavolta il timore diffuso è che per gli organi musicali e per tutto il resto si facciano avanti, con spinte politiche, personaggi poco affidabili. Intanto ai danni del terremoto si stanno aggiungendo quelli dei volontari non specializzati e, colpevolmente, non seguiti da occhi esperti.Èquanto ha denunciato Gianfranco Cerasoli, funzionario del ministero e segretario generale della Uil alla riunione del Consiglio superiore per i beni e le attività culturali del 12 ottobre. «Il ministro Bondi - ha ricordato Cerasoli - ha voluto che si attrezzasse una struttura distaccata dell’Istituto Superiore del restauro presso Celano, che dovrà urgentemente intervenire non sugli effetti del terremoto, bensì su quelli dell’incuria di quantihanno e avevano responsabilità dei Beni culturali». Altro che solo mancanza di fondi, la questione è scottante, la disorganizzazione notevole, la sovrapposizione di enti esecutori all’ordine del giorno tra Comune e Vigili del fuoco. È il caso della Chiesa di Santa Maria di Paganica che, «mentre il quartiere è stato messo in sicurezza (...), è ancora scoperta e soggetta agli agenti atmosferici», come tutte le chiese del centro storico a eccezione di Collemaggio. E proprio le intense precipitazioni hanno procurato ulteriori danni a questi edifici storici, con i loro affreschi, mosaici e ornamentazioni.AOnna, città simbolo del sisma, l’organo della chiesa si era salvato appeso a l’unico muro restato in piedi e pericolante: smontato dai pompieri non è dato sapere dove sia finito. Gira oramai il motto: quello che non fece il terremoto, terminarono Bertolaso e compagnia. E dal primo gennaio per i Beni culturali sarà anche peggio, commissario diventerà il presidente della regione Abruzzo Giovanni Chiodi, affiancato nella ricostruzione dal Genio Civile, abituato a lavorare per viadotti e ponti con il cemento armato: una mano santa per gli antichi palazzi. Amen.
CUI PRODEST?
Tutto avviene in uno sconcertante silenzio, o meglio inunfragore di trionfanti proclami mediatici che non corrispondono a verità. La popolazione è stizzita perché ancora non è stato avviato il restauro degli edifici classificati «A», vale a dire poco danneggiati. Lecito chiedersi se dietro tanto caos non ci siano o stiano nascendo progetti diversi. E, di fronte all’immobilità dello Stato e all’inerzia della ricostruzione, molti cominciano a vendere le proprie abitazioni.A poco, naturalmente, spaventati che ai danni del terremoto si aggiunga il colpo di grazia di un ritardo che renderà gli edifici irrecuperabili. Giovedì 19 novembre, durante una puntata di Terra (Canale5), Toni Capuozzo parlò di un serio rischio di speculazione sul centro storico de L’Aquila. Il puzzle si chiarisce: parte attiva nella ricostruzione dell’Umbria dopo il terremoto, Marchetti quando lavorava al ministero autorizzò il progetto degli ascensori sul Vittoriano diRomadefinito uno scempio da molti esperti, e ora punta a restare in carica dopo il primo gennaio con il nuovo commissario Chiodi; a capo della Struttura tecnica di missione per sovrintendere la ricostruzione de L’Aquila è stato nominato Gaetano Fontana, inventore dei “piani di riqualificazione urbana”, dei “Prusst” e delle varianti urbanistiche in deroga ai piani regolatori e dal 2008 direttore generale dell’Associazione nazionale costruttori edili. Così mentre interi quartieri de L’Aquila sono lasciati a marcire nell’incuria, qualcuno sente già girare le betoniere del cemento armato...
30 novembre 2009
lunedì, novembre 30, 2009
martedì, novembre 24, 2009
Nobel per la pace a Internet?
di Luca Landò (Unità)
E se il prossimo Nobel per la Pace lo vincesse Internet? La proposta, lanciata da Wired, rivista di culto dedicata ai nuovi mondi della rete, è rimbalzata ieri a Milano durante gli eventi legati al convegno Science for Peace organizzato dalla Fondazione Veronesi. E' stato proprio l'oncologo milanese a rilanciarla nel corso di un incontro al Piccolo Teatro Studio, ottenendo l'appoggio di Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003 per la sua attività a difesa dei diritti umani in Iran.
Ed è proprio dall'Iran e dai video della rivolta di Teheran che parte la richiesta di Internet for Peace. Come le immagini di Neda, la ragazza uccisa durante gli scontri della scorsa estate, il cui sguardo ripreso da un telefonino e rimbalzato sui computer di tutta la rete è diventato il simbolo drammatico della protesta. O come i video clandestini sulle perquisizioni notturne della polizia iraniana a caccia degli studenti ribelli. Per non parlare dei blog, capaci di rompere la censura, in Cina come a Cuba e ancora in Iran per portare la voce di chi si ostina a resistere e a sognare un mondo diverso.
“Internet può anche essere usata per favorire guerre e terrorismo, come dimostra l'opera di proselitismo dei talebani. Ma il passaparola della sollevazione a Teheran che ha viaggiato al ritmo di 220mila messaggi all'ora - ha detto Shirin Ebadi a Wired Italia – è stato troppo impetuoso per lasciare anche il minimo dubbio sul fatto che senza la rete, la stessa rivolta non sarebbe stata possibile. Non è un caso che ai primi processi contro i dimostranti, il procuratore generale abbia accusato Google, Facebook, e Twitter di complottare contro l'ordine costituito”.
L'appello per il Nobel a internet è stato raccolto da un gruppo bipartisan di deputati e senatori italiani, una sorta di bicamerale della rete dal nome evocativo di “Gruppo Interparlamentare 2.0”, con riferimento all'aspetto sempre più interattivo e sociale del “nuovo” Internet (2.0 appunto). L'appoggio politico all'iniziativa, annunciato ieri da Vincenzo Vita, servirà a dare peso alla proposta, soprattutto quando le delegazioni dei diversi Paesi dovranno recarsi a Oslo a sostenere la candidatura. Resta un quesito. Se nel 2010 il Nobel per la Pace dovesse davvero andare a Internet, chi andrà a ritirare il premio e pronunciare il discorso? Nel democratico mondo della rete nessuno ha più diritti degli altri. E questo, da solo, è già un ottimo motivo per sostenere la candidatura. Voi che ne pensate?
21 novembre 2009
di Luca Landò (Unità)
E se il prossimo Nobel per la Pace lo vincesse Internet? La proposta, lanciata da Wired, rivista di culto dedicata ai nuovi mondi della rete, è rimbalzata ieri a Milano durante gli eventi legati al convegno Science for Peace organizzato dalla Fondazione Veronesi. E' stato proprio l'oncologo milanese a rilanciarla nel corso di un incontro al Piccolo Teatro Studio, ottenendo l'appoggio di Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003 per la sua attività a difesa dei diritti umani in Iran.
Ed è proprio dall'Iran e dai video della rivolta di Teheran che parte la richiesta di Internet for Peace. Come le immagini di Neda, la ragazza uccisa durante gli scontri della scorsa estate, il cui sguardo ripreso da un telefonino e rimbalzato sui computer di tutta la rete è diventato il simbolo drammatico della protesta. O come i video clandestini sulle perquisizioni notturne della polizia iraniana a caccia degli studenti ribelli. Per non parlare dei blog, capaci di rompere la censura, in Cina come a Cuba e ancora in Iran per portare la voce di chi si ostina a resistere e a sognare un mondo diverso.
“Internet può anche essere usata per favorire guerre e terrorismo, come dimostra l'opera di proselitismo dei talebani. Ma il passaparola della sollevazione a Teheran che ha viaggiato al ritmo di 220mila messaggi all'ora - ha detto Shirin Ebadi a Wired Italia – è stato troppo impetuoso per lasciare anche il minimo dubbio sul fatto che senza la rete, la stessa rivolta non sarebbe stata possibile. Non è un caso che ai primi processi contro i dimostranti, il procuratore generale abbia accusato Google, Facebook, e Twitter di complottare contro l'ordine costituito”.
L'appello per il Nobel a internet è stato raccolto da un gruppo bipartisan di deputati e senatori italiani, una sorta di bicamerale della rete dal nome evocativo di “Gruppo Interparlamentare 2.0”, con riferimento all'aspetto sempre più interattivo e sociale del “nuovo” Internet (2.0 appunto). L'appoggio politico all'iniziativa, annunciato ieri da Vincenzo Vita, servirà a dare peso alla proposta, soprattutto quando le delegazioni dei diversi Paesi dovranno recarsi a Oslo a sostenere la candidatura. Resta un quesito. Se nel 2010 il Nobel per la Pace dovesse davvero andare a Internet, chi andrà a ritirare il premio e pronunciare il discorso? Nel democratico mondo della rete nessuno ha più diritti degli altri. E questo, da solo, è già un ottimo motivo per sostenere la candidatura. Voi che ne pensate?
21 novembre 2009
lunedì, novembre 23, 2009
FISICA
LHC, l'acceleratore è ripartito
prime collisioni tra protoni
A quattordici mesi dallo stop, il laboratorio sotterraneo del Cern ha ripreso a funzionare. E con successo. Sempre a caccia della "particella di Dio"
di ELENA DUSI (Repubblica online)
PIU' FORTE di guasti, briciole di pane che si infilano nei circuiti elettrici, profezie che lo condannano a un eterno sabotaggio dal futuro, l'acceleratore di particelle del Cern ha ripreso a funzionare e oggi pomeriggio le prime collisioni fra i protoni sono avvenute all'interno del suo tunnel.
Neanche la denuncia alla Commissione per i diritti umani dell'Onu di un gruppo di cittadini preoccupati che le altissime energie dell'acceleratore possano causare un buco nero sulla terra è stata presa sul serio. Così oggi per la prima volta l'acceleratore Large Hadron Collider di Ginevra ha centrato il suo obiettivo, dopo che il 19 settembre del 2008, nove giorni dopo l'accensione, si era rotto a pochi passi dalla meta. E sugli schermi del Cern sono apparse le affascinanti fontane colorate con i frammenti degli scontri fra i protoni che schizzano in ogni direzione.
In uno di questi frammenti i fisici del Cern sperano di scoprire particelle subatomiche finora ignote, che ci spieghino di cosa è composta la materia a livello dell'infinitamente piccolo e quali caratteristiche avesse l'universo nelle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang.
Per il momento l'energia immessa nell'acceleratore è ancora troppo bassa per consentire scoperte significative (0,9 teraelettronvolt sui 7 che la macchina può raggiungere). Ma già nelle prossime settimane Lhc verrà spinto verso limiti che finora nessun esperimento scientifico ha mai raggiunto. Il rivale del Cern, l'americano Tevatron, è in grado infatti di sfiorare appena i 2 teraelettronvolt e non è un caso che la stampa americana abbia accolto con una buona dose di acidità la notizia della ripresa dell'esperimento europeo ("Lhc è stato rattoppato, ma presto sarà costretto a fermarsi di nuovo", scriveva due giorni fa il New York Times).
Dopo quattordici mesi spesi in riparazioni e migliorie, in realtà oggi la notizia delle prime collisioni ha riempito di entusiasmo gli scienziati del Cern, inclusi i 600 italiani (15 per cento del totale) che lavorano all'esperimento. "Proprio cinque minuti fa abbiamo visto le prime collisioni nel rivelatore di Alice", racconta Paolo Giubellino, alla guida di uno dei quattro esperimenti di Lhc. "Non ce le aspettavamo così presto. I protoni sono estremamente piccoli e far collidere due fasci che viaggiano in direzione opposta è come mettere due cacciatori a distanza di un chilometro e chiedergli di far scontrare i loro pallini in aria a metà strada. Bisogna avere un'ottima mira".
Entusiasta anche Guido Tonelli, che dirige l'esperimento Cms: "All'inizio i due fasci circolavano, ma senza riuscire a scontrarsi. Li abbiamo guidati con i magneti, tenendone fermo uno e spostando piano piano l'altro fino a quando le prime collisioni non sono apparse sugli schermi dei computer. La manovra è avvenuta con grande facilità. In questi 14 mesi di stop tutti siamo migliorati, e la macchina ora è molto docile ai nostri comandi".
Fra i frammenti di materia misteriosi che Lhc spera di catturare nel suo tunnel sotterraneo di 27 chilometri, raffreddato a meno 271 gradi (il punto più freddo del cosmo), c'è il cosiddetto bosone di Higgs, soprannominato "la particella di Dio". Solo questa particella, teorizzata negli anni '60 e mai osservata, può spiegare come mai la materia è dotata di massa e riesce ad aggregarsi per formare stelle, pianeti ed esseri viventi.
(23 novembre 2009)
LHC, l'acceleratore è ripartito
prime collisioni tra protoni
A quattordici mesi dallo stop, il laboratorio sotterraneo del Cern ha ripreso a funzionare. E con successo. Sempre a caccia della "particella di Dio"
di ELENA DUSI (Repubblica online)
PIU' FORTE di guasti, briciole di pane che si infilano nei circuiti elettrici, profezie che lo condannano a un eterno sabotaggio dal futuro, l'acceleratore di particelle del Cern ha ripreso a funzionare e oggi pomeriggio le prime collisioni fra i protoni sono avvenute all'interno del suo tunnel.
Neanche la denuncia alla Commissione per i diritti umani dell'Onu di un gruppo di cittadini preoccupati che le altissime energie dell'acceleratore possano causare un buco nero sulla terra è stata presa sul serio. Così oggi per la prima volta l'acceleratore Large Hadron Collider di Ginevra ha centrato il suo obiettivo, dopo che il 19 settembre del 2008, nove giorni dopo l'accensione, si era rotto a pochi passi dalla meta. E sugli schermi del Cern sono apparse le affascinanti fontane colorate con i frammenti degli scontri fra i protoni che schizzano in ogni direzione.
In uno di questi frammenti i fisici del Cern sperano di scoprire particelle subatomiche finora ignote, che ci spieghino di cosa è composta la materia a livello dell'infinitamente piccolo e quali caratteristiche avesse l'universo nelle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang.
Per il momento l'energia immessa nell'acceleratore è ancora troppo bassa per consentire scoperte significative (0,9 teraelettronvolt sui 7 che la macchina può raggiungere). Ma già nelle prossime settimane Lhc verrà spinto verso limiti che finora nessun esperimento scientifico ha mai raggiunto. Il rivale del Cern, l'americano Tevatron, è in grado infatti di sfiorare appena i 2 teraelettronvolt e non è un caso che la stampa americana abbia accolto con una buona dose di acidità la notizia della ripresa dell'esperimento europeo ("Lhc è stato rattoppato, ma presto sarà costretto a fermarsi di nuovo", scriveva due giorni fa il New York Times).
Dopo quattordici mesi spesi in riparazioni e migliorie, in realtà oggi la notizia delle prime collisioni ha riempito di entusiasmo gli scienziati del Cern, inclusi i 600 italiani (15 per cento del totale) che lavorano all'esperimento. "Proprio cinque minuti fa abbiamo visto le prime collisioni nel rivelatore di Alice", racconta Paolo Giubellino, alla guida di uno dei quattro esperimenti di Lhc. "Non ce le aspettavamo così presto. I protoni sono estremamente piccoli e far collidere due fasci che viaggiano in direzione opposta è come mettere due cacciatori a distanza di un chilometro e chiedergli di far scontrare i loro pallini in aria a metà strada. Bisogna avere un'ottima mira".
Entusiasta anche Guido Tonelli, che dirige l'esperimento Cms: "All'inizio i due fasci circolavano, ma senza riuscire a scontrarsi. Li abbiamo guidati con i magneti, tenendone fermo uno e spostando piano piano l'altro fino a quando le prime collisioni non sono apparse sugli schermi dei computer. La manovra è avvenuta con grande facilità. In questi 14 mesi di stop tutti siamo migliorati, e la macchina ora è molto docile ai nostri comandi".
Fra i frammenti di materia misteriosi che Lhc spera di catturare nel suo tunnel sotterraneo di 27 chilometri, raffreddato a meno 271 gradi (il punto più freddo del cosmo), c'è il cosiddetto bosone di Higgs, soprannominato "la particella di Dio". Solo questa particella, teorizzata negli anni '60 e mai osservata, può spiegare come mai la materia è dotata di massa e riesce ad aggregarsi per formare stelle, pianeti ed esseri viventi.
(23 novembre 2009)
lunedì, novembre 16, 2009
Dal cinema nelle nostre case Il 2010 sarà l’anno del 3D
di Marco Ventimiglia
Per capire la differenza basta chiudere un’occhio: in un attimo le immagini diventano come quelle di una trasmissione tv, perdono cioè quella profondità che è poi l’essenza della visione tridimensionale. Un paragone che invecenon regge con il cinema, perché ormai da un anno nelle sale è tornato in gran spolvero il film in 3D, con lungometraggi animati di enorme successo come “L’Era Glaciale 3” e “Up”, il tutto a 50 anni di distanza dal primo esordio, e la successiva scomparsa, dei film in stereoscopia. Ma quanto accaduto negli ultimi mesi è solo un antipasto di quel che ci attende a partire dal 2010, l’anno nel quale il 3D si trasformerà in uno dei più grandi fenomeni dell’elettronica di consumo. La visione tridimensionale, infatti, nonsolo sbancherà icinema ma, novità assoluta, entrerà in molteplici forme nelle nostre case. Il big bang del 3D è in realtà ancor più vicino del nuovo anno. Il 18 dicembre uscirà in buona parte del mondo (purtroppo soltanto a gennaio in Italia per non far concorrenza ai cine-panettoni) l’ultima realizzazione di James Cameron, il regista di Titanic e Terminator.
“Avatar” si annuncia non solo come un grande film di fantascienza, ma soprattuttocomeil primo lungometraggio espressamente concepito e realizzato per la riproduzione tridimensionale. Il prevedibile successo planetario di Avatar, del quale sono stati già proiettati alcuni spezzoni dimostrativi con stupore degli spettatori, è destinato ad essere seguito qualche mese dopo dalla sua commercializzazione sul mercato dell’home cinema, insieme ad altri titoli di grande impatto, nel nuovo formato 3D del quale si stanno definendo gli ultimi dettagli in queste settimane. Il rapido arrivo della visione tridimensionale nelle nostre case, all’inizio con film e videogiochi,mapoi anche con la tv compresi gli avvenimenti in diretta, sarà innanzitutto frutto dell’individuazione della tecnologia più efficace per la riproduzione delle immagini stereoscopiche in ambito domestico. Tralasciando le spiegazioni su tutto ciò che avviene “a monte”, ovvero la realizzazione filmica (Cameron ha fatto realizzare delle apposite cineprese), televisiva o informatica del 3D, quel che ci interessa sono le modalità di funzionamento degli apparecchi destinati ad essere utilizzati dagli utenti. Diciamo subito che questa innovazione verrà proposta in costante abbinamento con l’Alta Definizione, vale a dire le immagini tridimensionali avranno la risoluzione di 1920x1080 punti comunemente definita “Full HD”. Il motivo è quello di non scendere a compromessi, abbinando alla stereoscopia la miglior qualità visiva disponibile. Il 3D casalingo, poi, necessiterà l’adozione di uno strumento ausiliario per essere visualizzato, gli occhialini, esattamente come al cinema. Si tratta di un modello particolare, più evoluto dei rudimentali occhialini con lenti di diverso colore degli Anni Cinquanta, che rendevano lo spettacolo tridimensionale innaturale ed affaticante dopo pochi minuti. I più moderni modelli LCD con lenti sincronizzate (Shutterglasses) permettono invece di inviare al cervello nel modo corretto le diverse informazioni catturate dall’occhio destro rispetto al sinistro, consentendo poi la combinazione delle immagini, con il relativo effetto di profondità, né più né meno di quanto avviene in natura.
Ma insieme agli occhialini, il cui costo si annuncia peraltro contenuto, per il 3D domestico occorrerà anche una nuova generazione di televisori/ proiettori e lettori Blu-ray (quelli capaci di leggere gli omonimi dischi in Alta Definizione). Questo perché nel caso della visualizzazione di materiale stereoscopico i fotogrammi raddoppiano, in quanto per ogni immagine esiste la “versione” da inviare all’occhio destro e quella destinata all’occhio sinistro. In termini fisici ciò comporta il passaggio dalla frequenza di 60 Hz per la scansione delle immagini, che contraddistingue i contenuti degli attuali Blu-ray Disc, fino ai120Hz.Unafrequenza più elevata che, appunto, le tv ed i player in commercionon riescono a gestire. Insomma, l’irrompere della terza dimensione comporterà un radicale rinnovamento dei principali apparecchi per la riproduzione video all’interno della casa, e questo a pochissimi anni dal lancio dell’Alta definizione. Eppure le major cinematografiche ed i colossi dell’elettronica di consumosono convinti che funzionerà. Dopo lo spettacolo di Avatar capiremo che probabilmente hanno ragione.
16 novembre 2009
di Marco Ventimiglia
Per capire la differenza basta chiudere un’occhio: in un attimo le immagini diventano come quelle di una trasmissione tv, perdono cioè quella profondità che è poi l’essenza della visione tridimensionale. Un paragone che invecenon regge con il cinema, perché ormai da un anno nelle sale è tornato in gran spolvero il film in 3D, con lungometraggi animati di enorme successo come “L’Era Glaciale 3” e “Up”, il tutto a 50 anni di distanza dal primo esordio, e la successiva scomparsa, dei film in stereoscopia. Ma quanto accaduto negli ultimi mesi è solo un antipasto di quel che ci attende a partire dal 2010, l’anno nel quale il 3D si trasformerà in uno dei più grandi fenomeni dell’elettronica di consumo. La visione tridimensionale, infatti, nonsolo sbancherà icinema ma, novità assoluta, entrerà in molteplici forme nelle nostre case. Il big bang del 3D è in realtà ancor più vicino del nuovo anno. Il 18 dicembre uscirà in buona parte del mondo (purtroppo soltanto a gennaio in Italia per non far concorrenza ai cine-panettoni) l’ultima realizzazione di James Cameron, il regista di Titanic e Terminator.
“Avatar” si annuncia non solo come un grande film di fantascienza, ma soprattuttocomeil primo lungometraggio espressamente concepito e realizzato per la riproduzione tridimensionale. Il prevedibile successo planetario di Avatar, del quale sono stati già proiettati alcuni spezzoni dimostrativi con stupore degli spettatori, è destinato ad essere seguito qualche mese dopo dalla sua commercializzazione sul mercato dell’home cinema, insieme ad altri titoli di grande impatto, nel nuovo formato 3D del quale si stanno definendo gli ultimi dettagli in queste settimane. Il rapido arrivo della visione tridimensionale nelle nostre case, all’inizio con film e videogiochi,mapoi anche con la tv compresi gli avvenimenti in diretta, sarà innanzitutto frutto dell’individuazione della tecnologia più efficace per la riproduzione delle immagini stereoscopiche in ambito domestico. Tralasciando le spiegazioni su tutto ciò che avviene “a monte”, ovvero la realizzazione filmica (Cameron ha fatto realizzare delle apposite cineprese), televisiva o informatica del 3D, quel che ci interessa sono le modalità di funzionamento degli apparecchi destinati ad essere utilizzati dagli utenti. Diciamo subito che questa innovazione verrà proposta in costante abbinamento con l’Alta Definizione, vale a dire le immagini tridimensionali avranno la risoluzione di 1920x1080 punti comunemente definita “Full HD”. Il motivo è quello di non scendere a compromessi, abbinando alla stereoscopia la miglior qualità visiva disponibile. Il 3D casalingo, poi, necessiterà l’adozione di uno strumento ausiliario per essere visualizzato, gli occhialini, esattamente come al cinema. Si tratta di un modello particolare, più evoluto dei rudimentali occhialini con lenti di diverso colore degli Anni Cinquanta, che rendevano lo spettacolo tridimensionale innaturale ed affaticante dopo pochi minuti. I più moderni modelli LCD con lenti sincronizzate (Shutterglasses) permettono invece di inviare al cervello nel modo corretto le diverse informazioni catturate dall’occhio destro rispetto al sinistro, consentendo poi la combinazione delle immagini, con il relativo effetto di profondità, né più né meno di quanto avviene in natura.
Ma insieme agli occhialini, il cui costo si annuncia peraltro contenuto, per il 3D domestico occorrerà anche una nuova generazione di televisori/ proiettori e lettori Blu-ray (quelli capaci di leggere gli omonimi dischi in Alta Definizione). Questo perché nel caso della visualizzazione di materiale stereoscopico i fotogrammi raddoppiano, in quanto per ogni immagine esiste la “versione” da inviare all’occhio destro e quella destinata all’occhio sinistro. In termini fisici ciò comporta il passaggio dalla frequenza di 60 Hz per la scansione delle immagini, che contraddistingue i contenuti degli attuali Blu-ray Disc, fino ai120Hz.Unafrequenza più elevata che, appunto, le tv ed i player in commercionon riescono a gestire. Insomma, l’irrompere della terza dimensione comporterà un radicale rinnovamento dei principali apparecchi per la riproduzione video all’interno della casa, e questo a pochissimi anni dal lancio dell’Alta definizione. Eppure le major cinematografiche ed i colossi dell’elettronica di consumosono convinti che funzionerà. Dopo lo spettacolo di Avatar capiremo che probabilmente hanno ragione.
16 novembre 2009
Tecnologia
Internet parla arabo
L'Egitto vara il primo dominio in caratteri non latini
Sarà il primo a infrangere un "tabù". L'Egitto ha annunciato oggi il lancio del dominio internet .misr, che diventerà il primo in caratteri arabi. L'annuncio è stato dato a margine della conferenza di Sharm el Sheikh sulla governance della rete.
Il nome, che vuole dire 'Egitto' in arabo, sarà registrato questa sera a partire dalla mezzanotte locale (le 23.00 in Italia) e si affiancherà ai vari .com o .org, ha spiegato il ministro egiziano delle comunicazioni, Tarek Kamel, in occasione del 4/o Forum delle governance di internet (Igf).
«Adesso possiamo dire che internet parla arabo», ha affermato Kamel.
L'annuncio arriva dopo la decisione dell'organismo americano di gestione di internet e dei nomi dei domini (Icann) di mettere fine all'utilizzo esclusivo dei caratteri latini sugli indirizzi web.
15 novembre 2009
Internet parla arabo
L'Egitto vara il primo dominio in caratteri non latini
Sarà il primo a infrangere un "tabù". L'Egitto ha annunciato oggi il lancio del dominio internet .misr, che diventerà il primo in caratteri arabi. L'annuncio è stato dato a margine della conferenza di Sharm el Sheikh sulla governance della rete.
Il nome, che vuole dire 'Egitto' in arabo, sarà registrato questa sera a partire dalla mezzanotte locale (le 23.00 in Italia) e si affiancherà ai vari .com o .org, ha spiegato il ministro egiziano delle comunicazioni, Tarek Kamel, in occasione del 4/o Forum delle governance di internet (Igf).
«Adesso possiamo dire che internet parla arabo», ha affermato Kamel.
L'annuncio arriva dopo la decisione dell'organismo americano di gestione di internet e dei nomi dei domini (Icann) di mettere fine all'utilizzo esclusivo dei caratteri latini sugli indirizzi web.
15 novembre 2009
Tecnologia
Call of Duty: Modern Warfare La guerra a misura di videogioco
di Ivan Fulco
Aeroporto internazionale Zakhaev, Mosca. Tra le mani stringo un mitragliatore pesante M240, intorno a me quattro uomini armati e muniti di giubbotto antiproiettile. "Ricordate, nessun russo", spiega il capo del commando, poi le porte dell'ascensore si aprono davanti all'imbarco. I quattro si schierano, puntano le armi e aprono il fuoco sulla folla. In pochi istanti, alcune decine di uomini e donne rimangono uccisi. Poi il commando avanza tra le sale del terminal, massacrando chiunque capiti a tiro. Cadono altre decine di civili, oltre ad alcuni agenti di polizia. Un uomo che si trascina insanguinato a terra viene finito con un colpo alla testa. In qualsiasi momento, avrei anch'io la facoltà di uccidere chi voglio, ma scelgo di non aprire il fuoco. Quello che ancora non so, è che la missione si concluderà in un modo ancora più drammatico di com'è iniziata...
Call of Duty: Modern Warfare 2, ultimo episodio della saga bellica di Infinity Ward, entrerà probabilmente nella storia dei videogiochi per questa scena. Per la prima volta, a un videogiocatore è richiesto di partecipare in prima persona a un'operazione terroristica in cui ha la "libertà" di uccidere civili inermi. Può scegliere di non farlo, è vero, ma la priorità rimane quella di interpretare il proprio ruolo nella missione. Siamo un agente americano infiltrato in una cellula nazionalista russa. Dalla nostra operazione dipende il destino del mondo libero. E così, tra buoni e cattivi, tra soldati e civili, prende forma il primo attentato terroristico virtuale a dimensione di libero arbitrio.
Nelle ultime settimane, le polemiche relative a questa missione del nuovo Modern Warfare hanno inondato stampa e televisione. Poco importa che ogni speculazione sia arrivata ancora prima dell'uscita del gioco, dopo che un video amatoriale della scena dell'aeroporto era misteriosamente filtrato su Internet. Negli Stati Uniti, il filmato è arrivato fino alla CNN, per poi essere dibattuto su Fox News. Nel Regno Unito, giornalisti del Mirror, del Guardian e della BCC si sono interrogati sull'opportunità di una simile scena. In Australia, un'associazione di garanzia ha richiesto la revisione della classificazione ufficiale, con l'obiettivo di bandirne la vendita in tutto il paese. In Russia, il gioco è stato appena ritirato dai negozi.
Eppure l'ultimo Call of Duty, saga bellica che alterna episodi adattati al presente (Modern Warfare) ad altri ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale (Call of Duty), non è solo questo. La serie ha sempre usato la narrazione come strumento per stimolare riflessioni etiche, costringendo il giocatore a frequenti scelte morali nel corso dell'azione. E il nuovo Modern Warfare non risparmia scene dal forte impatto emotivo. La lunga sequenza dell'aeroporto russo, l'incursione nelle favelas brasiliane, l'assalto agli orrori del gulag. "Abbiamo calcato la mano sulla storia: vogliamo scioccare il giocatore, traumatizzarlo" ha spiegato Vince Zampella, direttore del design di Infinity Ward.
A differenza dei precedenti episodi, tuttavia, in Modern Warfare la forma ha preso stavolta il sopravvento sul contenuto. La Seconda Guerra Mondiale dei passati Call of Duty, una guerra di ragazzi costretti a combattere contro altri ragazzi, è assai lontana. Questa è una guerra di eroi, di armi infallibili e di alte tecnologie. Forse anche troppo, per chiunque mal sopporti i canovacci in stile Tom Clancy, le celebrazioni dell'Occidente democratico, i cliché sui nemici della libertà. C'è una forte retorica bellica, in Call of Duty. Ma se in passato questa era spunto di riflessione, nel nuovo Modern Warfare è quasi irritante la filosofia spicciola da quartier generale yankee che permea ogni fase del gioco.
Anche stilisticamente, Infinity Ward ha scelto per il suo blockbuster la via della pura Hollywood, per tentare di colpire il fegato, non più l'animo. Eppure, in Modern Warfare manca un costrutto narrativo logico, un legame emotivo con i protagonisti, e quindi anche un'immersione complessiva degna di una grande opera. La missione nell'aeroporto, la più intensa dell'intero gioco, è probabilmente l'unica eccezione. Un passaggio che mette alla prova gli istinti morali, ma che è narrativamente privo di antefatti, ludicamente privo di ripercussioni, e per questo si limita, per quanto non sia poco, a generare repulsione.
Dietro tutto questo, rimane comunque un'esperienza di gioco con pochi eguali. Modern Warfare è quanto di meglio possa osare oggi il videogioco per far vivere in prima persona la guerra moderna. Tecnicamente eccellente, ludicamente ineccepibile, girato con istinto cinematografico senza concedere tregua al giocatore. Insomma, un'altra guerra virtuale ritagliata a vostra misura, gentili consumatori. Potete decidere di combatterla seduti in poltrona, con estrema soddisfazione per gli occhi e per i pollici. In ogni caso, senza correre il rischio di provare sensi di colpa. Sono questi i grandi pregi dell'intrattenimento disinnescato.
16 novembre 2009
Call of Duty: Modern Warfare La guerra a misura di videogioco
di Ivan Fulco
Aeroporto internazionale Zakhaev, Mosca. Tra le mani stringo un mitragliatore pesante M240, intorno a me quattro uomini armati e muniti di giubbotto antiproiettile. "Ricordate, nessun russo", spiega il capo del commando, poi le porte dell'ascensore si aprono davanti all'imbarco. I quattro si schierano, puntano le armi e aprono il fuoco sulla folla. In pochi istanti, alcune decine di uomini e donne rimangono uccisi. Poi il commando avanza tra le sale del terminal, massacrando chiunque capiti a tiro. Cadono altre decine di civili, oltre ad alcuni agenti di polizia. Un uomo che si trascina insanguinato a terra viene finito con un colpo alla testa. In qualsiasi momento, avrei anch'io la facoltà di uccidere chi voglio, ma scelgo di non aprire il fuoco. Quello che ancora non so, è che la missione si concluderà in un modo ancora più drammatico di com'è iniziata...
Call of Duty: Modern Warfare 2, ultimo episodio della saga bellica di Infinity Ward, entrerà probabilmente nella storia dei videogiochi per questa scena. Per la prima volta, a un videogiocatore è richiesto di partecipare in prima persona a un'operazione terroristica in cui ha la "libertà" di uccidere civili inermi. Può scegliere di non farlo, è vero, ma la priorità rimane quella di interpretare il proprio ruolo nella missione. Siamo un agente americano infiltrato in una cellula nazionalista russa. Dalla nostra operazione dipende il destino del mondo libero. E così, tra buoni e cattivi, tra soldati e civili, prende forma il primo attentato terroristico virtuale a dimensione di libero arbitrio.
Nelle ultime settimane, le polemiche relative a questa missione del nuovo Modern Warfare hanno inondato stampa e televisione. Poco importa che ogni speculazione sia arrivata ancora prima dell'uscita del gioco, dopo che un video amatoriale della scena dell'aeroporto era misteriosamente filtrato su Internet. Negli Stati Uniti, il filmato è arrivato fino alla CNN, per poi essere dibattuto su Fox News. Nel Regno Unito, giornalisti del Mirror, del Guardian e della BCC si sono interrogati sull'opportunità di una simile scena. In Australia, un'associazione di garanzia ha richiesto la revisione della classificazione ufficiale, con l'obiettivo di bandirne la vendita in tutto il paese. In Russia, il gioco è stato appena ritirato dai negozi.
Eppure l'ultimo Call of Duty, saga bellica che alterna episodi adattati al presente (Modern Warfare) ad altri ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale (Call of Duty), non è solo questo. La serie ha sempre usato la narrazione come strumento per stimolare riflessioni etiche, costringendo il giocatore a frequenti scelte morali nel corso dell'azione. E il nuovo Modern Warfare non risparmia scene dal forte impatto emotivo. La lunga sequenza dell'aeroporto russo, l'incursione nelle favelas brasiliane, l'assalto agli orrori del gulag. "Abbiamo calcato la mano sulla storia: vogliamo scioccare il giocatore, traumatizzarlo" ha spiegato Vince Zampella, direttore del design di Infinity Ward.
A differenza dei precedenti episodi, tuttavia, in Modern Warfare la forma ha preso stavolta il sopravvento sul contenuto. La Seconda Guerra Mondiale dei passati Call of Duty, una guerra di ragazzi costretti a combattere contro altri ragazzi, è assai lontana. Questa è una guerra di eroi, di armi infallibili e di alte tecnologie. Forse anche troppo, per chiunque mal sopporti i canovacci in stile Tom Clancy, le celebrazioni dell'Occidente democratico, i cliché sui nemici della libertà. C'è una forte retorica bellica, in Call of Duty. Ma se in passato questa era spunto di riflessione, nel nuovo Modern Warfare è quasi irritante la filosofia spicciola da quartier generale yankee che permea ogni fase del gioco.
Anche stilisticamente, Infinity Ward ha scelto per il suo blockbuster la via della pura Hollywood, per tentare di colpire il fegato, non più l'animo. Eppure, in Modern Warfare manca un costrutto narrativo logico, un legame emotivo con i protagonisti, e quindi anche un'immersione complessiva degna di una grande opera. La missione nell'aeroporto, la più intensa dell'intero gioco, è probabilmente l'unica eccezione. Un passaggio che mette alla prova gli istinti morali, ma che è narrativamente privo di antefatti, ludicamente privo di ripercussioni, e per questo si limita, per quanto non sia poco, a generare repulsione.
Dietro tutto questo, rimane comunque un'esperienza di gioco con pochi eguali. Modern Warfare è quanto di meglio possa osare oggi il videogioco per far vivere in prima persona la guerra moderna. Tecnicamente eccellente, ludicamente ineccepibile, girato con istinto cinematografico senza concedere tregua al giocatore. Insomma, un'altra guerra virtuale ritagliata a vostra misura, gentili consumatori. Potete decidere di combatterla seduti in poltrona, con estrema soddisfazione per gli occhi e per i pollici. In ogni caso, senza correre il rischio di provare sensi di colpa. Sono questi i grandi pregi dell'intrattenimento disinnescato.
16 novembre 2009
sabato, novembre 14, 2009
Trovata l'acqua sulla Luna
"Una significativa quantità"
Un mese fa, il lancio di un missile contro un cratere, alla ricerca di possibili risorse idriche. Oggi, l'annuncio della Nasa: ce n'è una "significativa quantità", allo stato ghiacciato
di ALESSIO BALBI (La Repubblica)
C'E' acqua sulla Luna. O meglio, sotto. Lo ha rivelato oggi la Nasa rendendo note le prime risultanze dell'impatto del razzo Centaur sulla superficie lunare lo scorso 9 ottobre. "La storia che la Luna sia un posto arido e desolato non regge più", dichiara l'agenzia in un comunicato. "Stiamo svelando segreti che sono rimasti nascosti per miliardi di anni".
L'entusiasmo della Nasa si fonda sui dati trasmessi dal Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (Lcross). Il mese scorso, il satellite ha lanciato Centaur come un proiettile contro il cratere Cabeus, nella zona perennemente in ombra della Luna. Il team di Lcross ha poi osservato i getti prodotti dalla collisione. I dati degli spettrometri, strumenti che esaminano la luce emessa o assorbita da un materiale per capirne la composizione, non lasciano dubbi: "Numerose prove ci dicono che l'acqua è presente nei getti creati dall'impatto", spiega Anthony Colaprete, scienziato coinvolto nel progetto Lcross. "Ci vorranno ulteriori analisi, ma possiamo dire con sicurezza che Cabeus contiene acqua".
La comunità scientifica si è interrogata a lungo sulla presenza di acqua sulla Luna. Si riteneva che le grandi quantità di idrogeno osservate ai poli del nostro satellite potessero esserne un indizio. Ora, le osservazioni di Lcross, secondo la Nasa, indicano che l'acqua potrebbe essere diffusa in quantità molto maggiore rispetto a quanto si sospettasse finora. L'acqua sulla Luna sarebbe una risorsa di valore inestimabile per il futuro dell'esplorazione spaziale. Inoltre, proprio come i campioni prelevati dai ghiacciai artici contengono indizi sul passato remoto della Terra, l'analisi dei materiali nascosti nelle zone perennemente in ombra della Luna possono raccontare i segreti dell'evoluzione dell'intero sistema solare.
Il satellite Lcross è stato lanciato il 18 giugno 2009, insieme al Lunar Reconnaissance Orbiter. Dopo aver orbitato per 113 giorni e quasi 9 milioni di chilometri, il satellite ha sparato il razzo Centaur contro la superficie lunare. Il satellite ha raccolto quattro minuti di dati sugli effetti dell'impatto prima di schiantarsi esso stesso sulla Luna. "L'analisi completa dei dati richiederà del tempo", spiega ancora Colaprete. "Oltre all'acqua, stiamo trovando indizi di altre sostanze interessanti. Le regioni in ombra della Luna sono come trappole fredde, che raccolgono e conservano il materiale per miliardi di anni".
(13 novembre 2009
"Una significativa quantità"
Un mese fa, il lancio di un missile contro un cratere, alla ricerca di possibili risorse idriche. Oggi, l'annuncio della Nasa: ce n'è una "significativa quantità", allo stato ghiacciato
di ALESSIO BALBI (La Repubblica)
C'E' acqua sulla Luna. O meglio, sotto. Lo ha rivelato oggi la Nasa rendendo note le prime risultanze dell'impatto del razzo Centaur sulla superficie lunare lo scorso 9 ottobre. "La storia che la Luna sia un posto arido e desolato non regge più", dichiara l'agenzia in un comunicato. "Stiamo svelando segreti che sono rimasti nascosti per miliardi di anni".
L'entusiasmo della Nasa si fonda sui dati trasmessi dal Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (Lcross). Il mese scorso, il satellite ha lanciato Centaur come un proiettile contro il cratere Cabeus, nella zona perennemente in ombra della Luna. Il team di Lcross ha poi osservato i getti prodotti dalla collisione. I dati degli spettrometri, strumenti che esaminano la luce emessa o assorbita da un materiale per capirne la composizione, non lasciano dubbi: "Numerose prove ci dicono che l'acqua è presente nei getti creati dall'impatto", spiega Anthony Colaprete, scienziato coinvolto nel progetto Lcross. "Ci vorranno ulteriori analisi, ma possiamo dire con sicurezza che Cabeus contiene acqua".
La comunità scientifica si è interrogata a lungo sulla presenza di acqua sulla Luna. Si riteneva che le grandi quantità di idrogeno osservate ai poli del nostro satellite potessero esserne un indizio. Ora, le osservazioni di Lcross, secondo la Nasa, indicano che l'acqua potrebbe essere diffusa in quantità molto maggiore rispetto a quanto si sospettasse finora. L'acqua sulla Luna sarebbe una risorsa di valore inestimabile per il futuro dell'esplorazione spaziale. Inoltre, proprio come i campioni prelevati dai ghiacciai artici contengono indizi sul passato remoto della Terra, l'analisi dei materiali nascosti nelle zone perennemente in ombra della Luna possono raccontare i segreti dell'evoluzione dell'intero sistema solare.
Il satellite Lcross è stato lanciato il 18 giugno 2009, insieme al Lunar Reconnaissance Orbiter. Dopo aver orbitato per 113 giorni e quasi 9 milioni di chilometri, il satellite ha sparato il razzo Centaur contro la superficie lunare. Il satellite ha raccolto quattro minuti di dati sugli effetti dell'impatto prima di schiantarsi esso stesso sulla Luna. "L'analisi completa dei dati richiederà del tempo", spiega ancora Colaprete. "Oltre all'acqua, stiamo trovando indizi di altre sostanze interessanti. Le regioni in ombra della Luna sono come trappole fredde, che raccolgono e conservano il materiale per miliardi di anni".
(13 novembre 2009
martedì, novembre 03, 2009
Visto il meccanismo genetico che causa la maggiore lentezza con cui
H1N1 passa da una persona all'altra rispetto alla malattia stagionale
Nuova influenza, ecco cosa
rallenta la diffusione del virus
C'E' un preciso meccanismo alla base della maggiore lentezza con cui il virus della nuova influenza A/H1N1 si diffonde rispetto a quella stagionale. E ora, per la prima volta, il tallone d'Achille del virus all'origine della nuova pandemia è stato "fotografato" da ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology) e dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) Usa.
L'H1N1 che circola nel globo dalla primavera è caratterizzato da una particolare forma della proteina di superficie, che si lega male ai recettori presenti nel tratto respiratorio umano, spiegano gli studiosi oggi sull'edizione online di Science. "Il virus è capace di legarsi ai recettori umani, ma chiaramente è limitato", dice Ram Sasisekharan, direttore della divisione Scienze della salute e tecnologia del Mit. Questo legame limitato, in pratica debole, insieme a una piccola variazione genetica in un enzima dell'H1N1, spiega perché il virus che ha causato la prima pandemia degli anni Duemila non si diffonde con la stessa efficacia dell'influenza stagionale, aggiunge Sasisekharan. D'altra parte i patogeni influenzali mutano rapidamente, dunque è fondato il timore - sottolineano gli studiosi americani - che anche l'H1N1 possa subire delle trasformazioni che gli permettano di superare questo ostacolo. E dunque 'impari' a diffondersi più rapidamente.
"Dobbiamo fare molta attenzione all'evoluzione di questo virus", avverte Sasisekharan, che insieme al microbiologo Terrence Tumpey aveva già indagato nei mesi scorsi sui meccanismi di infezione del virus. Nel nuovo studio i ricercatori hanno confrontato l'H1N1 con diversi ceppi influenzali, incluso quello che scatenò la terribile Spagnola nel 1918.
La debole trasmissione del virus osservata dai ricercatori è stata confermata nei furetti, animali che 'mimano' con accuratezza l'influenza umana: se gli animali sono tenuti vicini in un luogo affollato l'infezione si diffonde facilmente, ma se vengono separati e il virus può spargersi solo attraverso le goccioline respiratorie la malattia si trasmette con molta difficoltà. Uno scenario simile a quello registrato effettivamente finora nell'uomo.
La sintomatologia influenzale causata dal virus H1N1, se confrontata con quella dell'influenza stagionale, è lievemente più acuta: il virus pandemico causa, infatti, anche sintomi come il vomito e forti disturbi gastrointestinali che non sono associati alla normale influenza ed hanno un tasso di trasmissibilità diversa. E si replica nel tratto respiratorio profondo, fino a raggiungere i polmoni, mentre quello dell'influenza stagionale rimane, come si è visto nei furetti, nella cavità nasale.
I ricercatori hanno poi scoperto una seconda mutazione che ostacola l'abilità dell'H1N1 di trasmettersi rapidamente. In pratica, il nuovo ceppo del virus non presenta la versione del gene PB2 cruciale per una rapida diffusione nell'uomo. Infine, secondo gli scienziati, a questo punto basterebbe una singola mutazione per portare a un'inefficiente interazione del microrganismo con l'oseltamivir (Tamiflu), il farmaco usato per curare i pazienti. Dunque, secondo gli studiosi, potrebbero emergere facilmente ceppi resistenti al Tamiflu.
(2 luglio 2009)
H1N1 passa da una persona all'altra rispetto alla malattia stagionale
Nuova influenza, ecco cosa
rallenta la diffusione del virus
C'E' un preciso meccanismo alla base della maggiore lentezza con cui il virus della nuova influenza A/H1N1 si diffonde rispetto a quella stagionale. E ora, per la prima volta, il tallone d'Achille del virus all'origine della nuova pandemia è stato "fotografato" da ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology) e dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) Usa.
L'H1N1 che circola nel globo dalla primavera è caratterizzato da una particolare forma della proteina di superficie, che si lega male ai recettori presenti nel tratto respiratorio umano, spiegano gli studiosi oggi sull'edizione online di Science. "Il virus è capace di legarsi ai recettori umani, ma chiaramente è limitato", dice Ram Sasisekharan, direttore della divisione Scienze della salute e tecnologia del Mit. Questo legame limitato, in pratica debole, insieme a una piccola variazione genetica in un enzima dell'H1N1, spiega perché il virus che ha causato la prima pandemia degli anni Duemila non si diffonde con la stessa efficacia dell'influenza stagionale, aggiunge Sasisekharan. D'altra parte i patogeni influenzali mutano rapidamente, dunque è fondato il timore - sottolineano gli studiosi americani - che anche l'H1N1 possa subire delle trasformazioni che gli permettano di superare questo ostacolo. E dunque 'impari' a diffondersi più rapidamente.
"Dobbiamo fare molta attenzione all'evoluzione di questo virus", avverte Sasisekharan, che insieme al microbiologo Terrence Tumpey aveva già indagato nei mesi scorsi sui meccanismi di infezione del virus. Nel nuovo studio i ricercatori hanno confrontato l'H1N1 con diversi ceppi influenzali, incluso quello che scatenò la terribile Spagnola nel 1918.
La debole trasmissione del virus osservata dai ricercatori è stata confermata nei furetti, animali che 'mimano' con accuratezza l'influenza umana: se gli animali sono tenuti vicini in un luogo affollato l'infezione si diffonde facilmente, ma se vengono separati e il virus può spargersi solo attraverso le goccioline respiratorie la malattia si trasmette con molta difficoltà. Uno scenario simile a quello registrato effettivamente finora nell'uomo.
La sintomatologia influenzale causata dal virus H1N1, se confrontata con quella dell'influenza stagionale, è lievemente più acuta: il virus pandemico causa, infatti, anche sintomi come il vomito e forti disturbi gastrointestinali che non sono associati alla normale influenza ed hanno un tasso di trasmissibilità diversa. E si replica nel tratto respiratorio profondo, fino a raggiungere i polmoni, mentre quello dell'influenza stagionale rimane, come si è visto nei furetti, nella cavità nasale.
I ricercatori hanno poi scoperto una seconda mutazione che ostacola l'abilità dell'H1N1 di trasmettersi rapidamente. In pratica, il nuovo ceppo del virus non presenta la versione del gene PB2 cruciale per una rapida diffusione nell'uomo. Infine, secondo gli scienziati, a questo punto basterebbe una singola mutazione per portare a un'inefficiente interazione del microrganismo con l'oseltamivir (Tamiflu), il farmaco usato per curare i pazienti. Dunque, secondo gli studiosi, potrebbero emergere facilmente ceppi resistenti al Tamiflu.
(2 luglio 2009)
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